LE FRATTURE NON SONO TUTTE UGUALI

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Da tempo è noto che le persone con diabete tipo 2 hanno un aumentato rischio di fratture dell’anca e di fratture non vertebrali rispetto alla popolazione generale, nonostante una densità minerale ossea simile o più elevata. Diversi meccanismi potrebbero esser in gioco quali la maggiore propensione alle cadute, la porosità della corticale, e la malattia microvascolare. Le fratture vertebrali – spesso asintomatiche – sono il tipo più frequente di frattura osteoporotica e la loro identificazione è importante – non solo per la diagnosi di osteoporosi – ma anche per la valutazione del rischio di frattura e per le successive decisioni terapeutiche. Le fratture vertebrali e quelle non vertebrali differiscono per composizione scheletrica e per proprietà biomeccaniche. Le vertebre sono composte soprattutto da osso trabecolare, che è metabolicamente più attivo e che ha proprietà biomeccaniche rispetto all’osso corticale. Inoltre, le fratture non vertebrali sono spesso precedute da caduta o da trauma, mentre ciò si applica solo al 10-15% delle fratture vertebrali.  Lo studio multicentrico coordinato da Fjorda Koromani dell’Università di Rotterdam ha valutato i dati da 852.705 soggetti con diabete tipo 2 per stimare l’incidenza delle fratture vertebrali, dato finora non disponibile su casistiche così ampie. Le conclusioni della ricerca segnalano che l’incidenza di fratture vertebrali è più elevata nei soggetti con diabete, rispetto a quelli senza diabete. Inoltre, il rischio di mortalità e di fratture non vertebrali nei soggetti con diabete tipo 2 e fratture vertebrali è raddoppiato rispetto ai soggetti non affetti da diabete. Questi dati indicherebbero che i soggetti con diabete andrebbero valutati periodicamente per fratture vertebrali e che la presenza di questo tipo di fratture indicherebbe la necessità di una terapia per l’osteoporosi, indipendentemente da ogni misura data dalla mineralometria ossea computerizzata (MOC). Infine, la presenza di fratture vertebrali in un soggetto con diabete tipo 2 costituirebbe un campanello d’allarme per coordinare tutte le azioni possibili in considerazione della fragilità del soggetto in esame.

Koromani F. e coll. Diabetes Care 2020;43:137-144 | https://doi.org/10.2337/dc19-0925

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