Le comunità virtuali raggiungono gli stessi risultati di un’educazione a tavolino?

Domanda provocatoria alla quale hanno risposto alcuni ricercatori della University of Massachusetts Medical School e della Boston University School of Medicine. Lo studio in questione ha arruolato un gruppo di donne afro-americane affette da diabete tipo 2 con un’età media di 52 anni e con diversi livelli di abilità nell’utilizzo degli strumenti informatici. Tutte concordavano che molti fattori, come ad esempio la distanza dal centro diabetologico e l’impossibilità di sottrarre tempo alla famiglia e/o al lavoro, potevano allontanare anche i pazienti più motivati dagli obiettivi di un buon controllo della malattia. Metà di loro sono state assegnate ad una comunità virtuale “Women in Control” e hanno avuto la possibilità di interagire con diverse figure professionali e con altri pazienti per poter discutere su diversi temi “caldi”: le modifiche nella dieta, l’attività fisica, l’autocontrollo glicemico,

lo schema di terapia; l’altra metà seguiva un programma di educazione terapeutica ambulatoriale. Entrambi i gruppi ottenevano simili risultati nel controllo delle glicemie e dei valori pressori, così come nella capacità di gestire autonomamente la malattia. L’intervento educazionale tradizionale aveva un costo inferiore rispetto a quello virtuale, soprattutto perché quest’ultimo richiedeva uno staff tecnico di supporto per la gestione del programma. Gli autori della ricerca ritengono che i costi degli interventi educazionali virtuali tenderanno naturalmente a ridursi con il passare degli anni e, visti i buoni risultati di questa sperimentazione, sono già pronti a seguire uno studio più ampio sul ruolo dell’educazione virtuale in donne diabetiche appartenenti non solo alla comunità afro-americana ma anche a quella latina.
Da: Rosal M.C. e coll. JMIR Res Protoc 2014; 3(4): e 54
Condividi queste informazioni

Lascia un commento